Domande Frequenti sulla Cultura e Cucina Giapponese
Il ramen ha assolutamente radici cinesi, ma quello stile giapponese che consumiamo oggi ha subito grandi e svariate evoluzioni col tempo ed ormai è molto distante da quello originale della Cina.
In Giappone il prezzo del ramen varia dai 500 yen (circa 3.30 euro) ai 1200 yen (circa 7.80 euro) . In genere un ramen fa da pasto completo, a cui possono venire aggiunti dei gyoza o del chahan (riso saltato alla cinese).
In Italia i prezzi cambiano: può arrivare a costare anche il doppio ed essere grande la metà (quindi il quadruplo).
Il ramen non è assolutamente considerato un alimento tra quelli più salutari in Giappone, vista la solita forte presenza di grassi animali nel brodo. Ne esistono anche di molto leggeri, nonostante questo però l’immagine del ramen rimane quella di uno sfizio gustoso ma ipercalorico (per gli standard giapponesi, ovviamente).
Nel ramen vengono usati i noodles cinesi, chukamen, prodotti con farina di frumento. La loro particolarità è data dall’aggiunta nell’impasto della sostanza alcalina kansui, o carbonato di sodio, che gli regala un colore ed un sapore unico.
Su questa tipologia di locali chiamati “snack bar” ci sarebbe molto da dire.
Per farla breve sono posti solitamente piccolini gestiti da una donna matura, chiamata “mama” (tipo matrona), che serve drink, stuzzichini (anche preparati bene) e chiacchiera con i clienti.
Non son tutti uguali: ci son quelli dall’atmosfera piú riservata, quelli piú chiassosi, alcuni piú lussuosi, oppure postacci. Essenzialmente peró quello che li accomuna è il prezzo, che di base è abbastanza alto (anche molto), proprio perchè si mette in conto anche la compagnia e lo stile di ospitalità.
La clientela è principalmente maschile, proprio perchè la donna che gestisce (magari anche aiutata da altre) crea un ambiente che punta a far rilassare gli avventori facendo discorsi che amalgamino la sua femminilità con la loro mascolinità. Quindi spesso si parla di argomenti come rapporti di coppia, sesso e via dicendo.
Per un italiano è strano comprendere questo tipo di intrattenimento (che è presente con sfaccettature diverse in altre tipologie di locali). È importante capire peró che è una cultura che fonda le sue radici anche proprio nella stessa geisha (ormai figura obsoleta e in scomparsa).
La colazione giapponese è salata. Quella tradizionale classica ha prima di tutto il riso come base, poi zuppa di miso, pesce cotto solitamente ai ferri, tsukemono e altro come natto o alghe nori.
Non è chiaramente sempre così: il pesce può essere cotto in altri modi, oppure sostituito da carne quale pollo, maiale, manzo. Anche gli tsukemono vengono sostituiti da altro, ma sempre di origine vegetale. Può capitare, anche se molto raramente, che il riso venga sostituto da pane in stile toast, ad esempio.
Essenzialmente l’importante è che sia salata, bilanciata e abbondante.
Come bevanda il caffè è l’unica cosa di stile occidentale che viene spesso consumata, a colazione.
Gli Stati Uniti sono una nazione con una cultura ed una società completamente diversa dal Giappone. Come esistono i pregi nel paese del Sol Levante, esistono anche i difetti. La stessa cosa, chiaramente, vale per gli USA. Quei giapponesi che di indole si sentono più adatti ad uno stile americano solitamente tendono a fare un esperienza negli Stati Uniti, che sia lavorativa, di studio o di puro divertimento (anche per la lingua), per poi tornare in patria dopo massimo qualche anno.
Esistono comunque abbastanza casi di ragazze (molto di più che di ragazzi) che trovano l’amore, si sposano e mettono su famiglia con un ragazzo americano e di conseguenza rimangono a viverci senza rientrare in Giappone.
Essenzialmente la maggior parte dei giapponesi che vivono all’estero sono studenti o dipendenti di aziende mandati temporaneamente per lavoro con la famiglia.
Giapponesi che decidono di trasferirsi permanentemente all’estero sono veramente pochi. La maggior parte che lo fa finisce per tornare in patria dopo qualche anno.
Nei supermercati o combini è possibile trovare i sushi confezionati a prezzi molto convenienti: 10 pezzi per meno di 5 euro.
Nei ristoranti più semplici, a nastro o simili, è possibile fare una buona cena spendendo a partire da 12 euro fino ad arrivare, esageratamente, a 30 euro.
Mentre invece nei locali più di lusso, di solito dove c’è un bancone con pochi posti ed uno o massimo due che preparano il sushi praticamente solo per te, si può arrivare a spendere anche più di 100 euro.
Assolutamente la geisha non è accostabile ad una prostituta.
Le geisha si dedicano allo studio della cultura omotenashi, delle arti quali il canto, il ballo tradizionale, l’uso di strumenti musicali.
Il loro lavoro è quello di intrattenere il cliente, singolo od in gruppo, durante una cena, con la propria compagnia.
Anche la bellezza sicuramente è molto importante per una geisha, come a sua volta il trucco e il modo di vestirsi e di muoversi. Il rapporto sessuale però non ha nulla a che vedere con il servizio offerto.
Questa confusione è nata probabilmente a causa dell’aspetto simile a quello delle Oiran, che invece erano delle prostitute. Questo non vuol dire che le Oiran non erano capaci di intrattenere il cliente in altri modi.
La frase: “La Geisha vende l’arte, l’Oiran vende il corpo” fa comunque capire la differenza.
Purtroppo no. I giapponesi ormai indossano i vestiti tradizionali quasi soltanto per le cerimonie, i festival e le occasioni speciali.
La cultura giapponese è strettamente collegata allo scintoismo e al buddismo.
Però è importante dire che il concetto di religione in occidente è molto diverso da come lo si potrebbe intendere in Giappone.
La maggior parte dei giapponesi afferma di non avere una religione, nonostante pratichino moltissimi riti (sia scintoisti che buddisti) a partire dalla nascita fino al funerale.
Il Natale è una festa oramai diffusa in Giappone, ma è quasi meramente un evento commerciale.
Il 25 dicembre solitamente è un occasione per le coppie per passare una giornata insieme, non si festeggia nulla in famiglia.
Non esistono cibi tradizionali, a parte il pollo fritto introdotto nelle usanze giapponesi qualche decennio fa.
Il wasabi che si trova in Giappone può essere in tubetto o direttamente il rizoma da grattuggiare.
All’estero spesso nei ristoranti meno fedeli viene servita una pasta che di vero wasabi ha poco o niente.
Il giapponese può essere scritto anche in verticale, partendo da destra, ma oggi l’ordine di scrittura più diffuso è quello come il nostro, ossia da sinistra verso destra andando verso il basso.
Per la yakisoba non si usa ne’ la soba, ne’ gli udon. Si usano i men, quelli stile cinese, come per il ramen (ossia preparati con kansui).
La differenza tra i men/noodles del ramen e quelli della yakisoba è che solitamente per la yakisoba si usano quelli precotti (al vapore), mentre per il ramen si usano quelli freschi.
A seconda della marca inoltre ci può essere anche una differenza a livello di proporzioni di farina.
L’1% o 2% della quantità di farina, ossia 10-20 grammi di kansui ogni kg di farina.
Il bicarbonato di sodio ha un PH di circa 8,5. Il kansui, formato da carbonato di sodio e/o carbonato di potassio, ha un PH che si aggira intorno agli 11,5 – 12. Questa differenza è fondamentale, dal momento che l’alcalinità è l’elemento chiave che rende il kansui indispensabile per la produzione di ramen. Se si usa il bicarbonato, oltre alla difficile solubilità, non si avranno gli effetti desiderati (colore e sapore). Si può realizzare il kansui di carbonato di sodio con un semplice procedimento descritto qui.
Se non si ha la possibilità di acquistare del riso giapponese, tra le varietà disponibili in Italia il riso più adatto è l’Originario o il Roma.
Questo perché è importante che i chicchi siano piccoli e con un’alta quantità di amido/collosità.
Il mirin deve essere conservato in un luogo fresco, non a diretto contatto con la luce ed a temperatura ambiente.
Non bisogna tenerlo in frigo o si provocherebbe la cristallizzazione degli zuccheri.
Dopo l’apertura va consumato di norma entro 90 giorni.
Se non si ha la possibilità di acquistare del riso giapponese, tra le varietà disponibili in Italia una consigliata è il riso Originario.
Questo perché è importanti che i chicchi siano piccoli e con un’alta quantità di amido/collosità.
Solitamente l’alga che viene più spesso messa nella zuppa di miso è la wakame.
L’alga konbu invece, che è di norma usata per realizzare il brodo dashi usato per la zuppa, non rimane all’interno del prodotto finito.
Potrebbe però venire messa nella zuppa quando è sottoforma di oboro-konbu o tororo-konbu.
In Giappone si mangiano moltissime verdure e affini.
Il buddismo avendo vietato il consumo di molti tipi di carne nei secoli passati ha influenzato molto la cultura culinaria di questo paese.
Al contrario invece il consumo del pesce è quasi inscindibile dalla cucina.
Di conseguenza il principale problema per un vegetariano occidentale è il pesce. Quest’ultimo è infatti alla base del brodo dashi, che a sua volta è alla base della maggior parte dei piatti giapponesi.
Si beve il caffè, ma nella versione all’americana. Viene venduto dappertutto, sia nei ristoranti che nei supermercati o combini in lattine, sia freddo che caldo, mischiato con latte o no.
Il cosiddetto espresso, ossia il classico caffè all’italiana in tazzina, è servito nei ristoranti italiani, nei vari cafè ed in altri numerosi altri luoghi. Purtroppo però non è quasi mai come lo intendiamo noi ed i locali che lo servono veramente all’italiana sono pochi.
La quasi totalità dei giapponesi non mangia gli insetti.
C’è da dire che però esistono delle eccezioni che appartengono ad antiche tradizioni culinarie in zone specifiche del paese (chinmi).
Un particolare tipo di cavalletta chiamata inago cucinata secondo una ricetta specifica diventa una rara specialità locale chiamata inago-no-tsukudani.
Anche le larve delle api, chiamate hachi-no-ko, sono un’altra rara specialità giapponese.
Sono solo delle eccezioni, paragonabili ad esempio al celebre formaggio sardo Casu frazigu, colonizzato dalle larve della mosca casearia.
Assolutamente i serpenti non appartengono alla dieta nipponica.
Esiste però un usanza, non molto diffusa, che consiste nel far macerare una vipera giapponese, chiamata mamushi, in bottiglioni di whisky o shōchū. Ad Okinawa un’altro serpente, chiamato habu, viene allo stesso modo usato per produrre l’habushu, solitamente a base di awamori (l’alcolico simbolo dell’isola).
La tradizione dice che bevendone qualche sorsata si possano giovare forti effetti afrodisiaci e rivitalizzanti, oltre a guadagnare una piccola immunità ai veleni.

Più che le tartarughe in generale, un particolare tipo di tartaruga dal guscio molle, chiamata suppon, considerato come un ingrediente di lusso e che fa parte della cucina tradizionale.
I conigli sono considerati alla pari di un cane e di un gatto, ossia un animale da compagnia. Un giapponese non lo mangerebbe mai.
Il nihonshu, ossia il sakè, è chiaramente molto consumato, ma non tanto come si potrebbe pensare.
L’alcolico più bevuto è invece la birra, apprezzata molto anche dalle donne.
Il consumo di alcolici è considerato come un fondamentale momento di aggregazione in Giappone. Non solo tra amici e familiari, ma anche dopo il lavoro è normalissimo ritrovarsi con i colleghi a bere numerosi calici di birra, sakè e altro senza la benchè minima preoccupazione di intaccare la propria immagine.
I giapponesi dichiarano chiaramente come i fumi dell’alcool facilitino i loro rapporti sociali aprendo le barriere intrinseche della timidezza o della riservatezza.
Bere tanto fino ad ubriacarsi non è considerato quindi un male, l’importante è che il giorno dopo si rispettino i propri doveri.
Ciò che influenza la forma fisica dei giapponesi è sicuramente la dieta, bilanciata, ipocalorica e con un limitato uso di grassi animali.
Per saperne di più leggi questo articolo.
Oltre alle bacchette vengono usati dei cucchiai di varie dimensioni a seconda del piatto.
Il coltello viene usato raramente a tavola, dal momento che solitamente i piatti che lo necessiterebbero vengono preparati in modo da essere serviti già tagliati.
Gli alimenti morbidi vengono “divisi” pizzicando con le bacchette.
Le forchette non fanno parte della cultura culinaria giapponese, ma sono chiaramente usate quando si consumano piatti occidentali.
La pasta è amatissima e molto consumata negli svariati ristoranti italiani sparsi per il Giappone. Non viene però quasi mai preparata in casa.
L’uso dei grassi animali, come il burro, non appartiene alla cucina giapponese tradizionale.
Viene usato l’olio, non di oliva ma di altre origini vegetali.
Questo non esclude assolutamente però l’uso dei due grassi sopracitati quando si preparano piatti di origine occidentale.
Un pasto semplice e veloce lo si trova a meno di 1000 yen (circa 6.50 euro), come ad esempio un ramen, un gyūdon o un tendon.
Aumentando fino ai 3000 yen (circa 19.50 euro) si può gustare ad esempio un sushi di qualità più che decente, una cena in un ristorante italiano di livello mediocre, uno yakiniku economico, okonomiyaki, una bella scorpacciata di yakitori.
Salendo fino ai 7000 yen (circa 45.50 euro) si passa ad un livello superiore, come cucina washoku, yakiniku di livello buono, ristorante italiano di livello medio alto, sushi di livello più che buono.
Sopra 7000 yen si entra nei livelli del lusso del cibo.
Il riso è la principale fonte di carboidrati nei pasti tradizionali.
Quando è consumato in bianco non deve essere considerato come un piatto a sé stante, ma come un elemento complementare a tutti gli altri piatti che si hanno sulla tavola, alternandosi, ad esempio, ad un boccone di pesce ed un sorso di zuppa di miso.
Il suo scopo potrebbe essere, un po’ alla buona, paragonato a quello del pane nel pasto all’italiana. Il riso, però, assume un ruolo molto più importante, indispensabile, a differenza del pane di cui si potrebbe anche spesso fare a meno dal momento che i carboidrati li assumiamo solitamente dalla pasta.
La cucina italiana è amatissima dai giapponesi, e tra quelle straniere è quella più consumata, circa allo stesso livello di quella cinese.
Di conseguenza di ristoranti che servono cucina italiana ce ne sono a migliaia. La qualità media è molto buona, e come non mancano però i locali di scarso livello, ne esistono numerosi di sorprendente qualità.
Nonostante il sushi sia il piatto simbolo ed il più famoso, in Giappone non è consumato così tanto come si potrebbe immaginare.
In media viene mangiato non più di qualche volta al mese.
Un onigiri generalmente costa tra i 100 e i 150 yen, un po’ piú di un euro.